Arpia a cavallo di un rospo

Niccolò Pericoli detto il Tribolo (Firenze 1497-1550), 1540-50, pietra arenaria della gonfolina, cm 92x35x49

Tra le sale di Palazzo Blu si nasconde una figura mostruosa: il volto è scosso da un urlo e da un fremito imperioso, le ali sembrano artigli, il corpo inarcato esplode nei seni prominenti mentre le zampe biforcute cavalcano un orribile rospo. Si tratta di un’arpia, una creatura rapace che fin dai tempi della mitologia greca seminava terrore, ma che qui è stata trasformata in un arredo da giardino. Sappiamo infatti che questa bella statua ornava, probabilmente dentro una nicchia, il giardino di palazzo Lanfranchi dove serviva come fontana: nella bocca del rospo c’è un foro per il getto d’acqua.
Autore di questa scultura è, con tutta probabilità, Niccolò Pericoli (Firenze, 1497-1550), detto “il Tribolo” per il suo carattere particolarmente indiavolato, collaboratore di talento di Michelangelo e architetto di Cosimo I de’ Medici con una predilezione per le scenografie, le fontane e i giardini. A lui si devono il giardino della villa medicea di Castello e il primo progetto per Boboli.
Nella scelta dei Lanfranchi di affidarsi a un architetto/scultore così importante a corte non c’era solo un intento politico, ma anche il segno di un aggiornamento del gusto: il giardino era luogo di svago, dove si potevano scovare soggetti bizzarri e anche licenziosi, ma che fornivano sempre il pretesto per una lettura allegorica e per una conversazione brillante.
Guardando questa Arpia - minacciosa, eccessiva, ma trasformata in un gioco - non è difficile capire perché il giardino in cui dimorava fosse definito “vago” e “non mai abbastanza lodato”.