“Inizia a disegnare e a dipingere come gli antichi maestri. Dopo potrai fare quello che vorrai: tutti ti rispetteranno.”
Salvador Dalí.
La Fondazione Palazzo Blu presenta la mostra “Dalí. Il sogno del classico”, in collaborazione con la Fundación Gala-Salvador Dalí e MondoMostre. Curata da Montse Aguer, Direttrice Musei Dalí, propone al pubblico la grande opera del maestro spagnolo, attraverso una selezione mirata di importanti opere che mostrano la grande ispirazione che Dalì trae dalla tradizione italiana e dai grandi Maestri soprattutto rinascimentali
In mostra nella splendida cornice di Palazzo Blu, 150 opere tra dipinti, acquerelli e xilografie testimoniano ampiamente l’onnipresenza dell’eredità classica all’interno della produzione artistica di Dalì. Lo spettatore è chiamato a un dialogo poetico e memorabile con il Dalì sempre originale, eccentrico e geniale, che ama i grandi Maestri italiani, cita Raffaello, racconta Cellini, illustra Dante, e dipinge Michelangelo.
La mostra insiste sull’importanza dell’Italia, del Rinascimento e in particolare di Michelangelo, nell’opera di Salvador Dalí. All’interno del percorso espositivo troviamo una selezione di oli straordinari e poco conosciuti, quattro dei quali inediti – Senza titolo. Mosè da quello della tomba di Giulio II di Michelangelo, Senza titolo. Cristo dalla Pietà di Palestrina attribuita a Michelangelo, Senza titolo. Giuliano de’ Medici da quello del sepolcro di Giuliano de’ Medici di Michelangelo e Senza titolo. dal Ragazzo accovacciato di Michelangelo – che figurano tra le sue ultime creazioni degli anni ottanta. Presentate per la prima volta come un corpus stilistico e tematico, queste opere permettono di analizzare la tecnica e il pensiero del Dalí di quel periodo, e di evidenziare come le sue inquietudini continuassero a tradursi in espressione artistica. Approfondire la conoscenza dell’ultima fase della carriera del pittore, ancora poco nota, significa entrare in contatto con il pensiero daliniano più peculiare, mediato da un’espressività che persegue la ricerca dell’immortalità.
Così come dimostrano anche i quattro dipinti che aprono la mostra, La Trinità, studio per il Concilio ecumenico del 1960, Paesaggio di Port Lligat, 1950, Sant’Elena a Port Lligat, 1956 circa e Angelo di Port Lligat, 1952, dove è possibile notare una svolta mistica e religiosa nell’arte di Salvador Dalí. Dopo aver trascorso otto anni negli Stati Uniti con la sua amata Gala, a causa della guerra civile spagnola, nel luglio del 1948 Dalí e Gala tornano a Port Lligat e poi di nuovo in Italia. Così Dalí descrive il suo soggiorno nella penisola “Sono tutto invasato dai canoni geometrici, dalle misure, dalle proporzioni (…)”.
Ed è proprio il suo soggiorno in Europa di quegli anni che segna il passaggio nella “nuova era della pittura mistica” in cui le sue maggiori passioni – la scienza, la religione e i mastri della pittura – si fondono. Sono gli anni in cui prepara il testo che pubblicherà, nella sua forma definitiva, nel 1951 e che si intitola Manifesto Mistico; un manifesto che vuol essere una legittimazione della sua pittura di temi religiosi ispirati agli artisti rinascimentali che ammira.
Oltre i dipinti sarà esposta in mostra l’intera serie di xilografie che illustra la Divina Commedia. Nel 1950 il Ministro della Pubblica Istruzione commissionò a Salvador Dalí di illustrare il capolavoro di Dante Alighieri, dopo che l’artista aveva già dipinto alcuni acquerelli ispirati dal celebre poema italiano, tra il 1950 e il 1952. Ne risultarono 102 acquerelli, esposti prima a Roma, nel 1954, e in seguito a Venezia e Milano. A causa delle pressioni politiche dell’opposizione, contraria a che uno spagnolo si occupasse d’illustrare il più grande capolavoro della letteratura italiana, il governo italiano decise però di recedere dalla commissione e Dalí, che si sentì insultato dal gesto, si prese il gusto di una rivincita. L’artista spagnolo infatti raddoppiò il prezzo e offrì i diritti di riproduzione a Joseph Forêt che nel 1960, pubblicò 100 aquarelles pour la Divine Comédie de Dante Alighieri par Salvador Dalí, il catalogo della mostra che venne allestita al Palais Galliera di Parigi. Il 23 novembre 1963, Forêt pubblicò un’edizione integrale della Divina Commedia con le stampe originali degli acquerelli dell’artista spagnolo.
E poi la mostra ci conduce a un Dalí disegnatore, dopo averlo visto pittore, illustratore e intellettuale appassionato di letteratura, attraverso 30 disegni e acquarelli che raccontano la leggendaria vita di Benvenuto Cellini. L’artista catalano viene incaricato dall’editore Doubleday&Company di illustrare una nuova edizione della Vita dell’orafo fiorentino. È il 1945 e Dalí realizza quarantadue illustrazioni per l’Autobiografia di Benvenuto Cellini, molto varie sia da un punto di vista formale che tecnico. Gli originali per la preparazione di quest’opera, oggi conservati alla Fundaciòn Gala-Salvador Dalí di Figueres, sono dotati di iscrizioni e citazioni dal testo celliniano. È questa l’occasione per Dalí di una meditazione sistematica riguardante la vita e le opere di Benvenuto Cellini che tuttavia, non comporterà un aumento di citazioni o rimandi nelle opere degli anni successivi, a testimonianza che il genio celliniano era già ben presente nell’immaginario e nel linguaggio figurativo di Dalí, che avrebbe voluto incarnare il ruolo di artista poliedrico e multidisciplinare quale era Cellini nel Cinquecento.
La mostra dunque si presenta come un grande progetto dal taglio inedito, che mette a confronto diretto il genio di Figueres con la tradizione antica e con i grandi Maestri italiani e che presenta, per la prima volta nelle sale di Palazzo Blu, un aspetto particolare della parabola surrealista daliniana. Ed ecco che dipinti, illustrazioni, disegni e acquarelli raccontano di un enigmatico ed eccentrico Dalí in veste di esploratore e ammiratore del “sogno classico”.