Antonio (Tono) Zancanaro nacque a Padova. La sua passione per l’arte ebbe precoce manifestazione in seguito a ripetute visite, condotte su consiglio del padre, nei musei di Torino e Firenze. Nel 1931 cominciò a disegnare, inizialmente per mero divertimento. Nel 1935 venne introdotto nella bottega di Ottone Rosai che da quel momento considerò sempre primo e fondamentale maestro. Il forte legame con l’ambiente universitario e culturale influì in maniera determinante sulla coscienza sociale e politica di Zancanaro che, a partire da quegli anni, abbandonò le posizioni conservatrici e clericali della famiglia per abbracciare ideologie di sinistra fino a iscriversi nel 1942 al PCI. Del 1937 è il primo viaggio a Parigi dove incontrò Lionello Venturi: dello stesso anno è il primo Gibbo che darà vita all’omonimo ciclo, terminato con la morte di Mussolini, emblema del suo spirito antifascista. Nel 1942 la rete di conoscenze si allargò notevolmente e tramite il rapporto con Ernesto Treccani a Milano prese contatti a Roma con Renato Guttuso, Elsa Morante, Alberto Moravia, Carlo Levi, Mino Maccari. Terminato il ciclo del Gibbo, tra il 1945 e il 1946 Zancanaro diede vita, con fervida fantasia, a quello dei Demopretoni, per lungo tempo ignorato proprio a causa dei suoi contenuti violentemente anticlericali. Nello stesso periodo inizia a prendere forma anche il ciclo dedicato a Levana, figura reale, da cui sono poi derivati tutti i successivi cicli aventi per soggetto figure femminili. Caratteristica peculiare dell’artista è la totale dedizione all’arte, affrontata attraverso le tecniche più disparate, delle quali riuscì sempre ad appropriarsi carpendone i segreti: nonostante il medium preferito sia rimasta sempre la grafica, in particolare l’incisione, Zancanaro dipinse più volte con l’olio e gli acquarelli, si dedicò al mosaico eseguito con la tecnica ravennate grazie alla conoscenza del mosaicista Romolo Papa, incise vasi di vetro realizzati dai maestri di Murano, realizzò arazzi, scene e costumi teatrali, sculture in bronzo e si dedicò con altrettanta passione all’attività di ceramista, studiando e reinterpretando la pittura vascolare greca.
La rappresentazione della figura femminile accompagna l’attività di Zancanaro dagli esordi fino alla fine. Il dato reale costituisce però soltanto il punto di partenza per lanciarsi verso viaggi fantastici, tra mito e mondi ultraterreni, da cui spesso nascono visioni al limite del grottesco. La donna, il nudo, l’eros, sono tutte tematiche ampliamente trattate nella sua produzione grafica, e non solo. Generalmente nascono un’esperienza vissuta, come Lavana, prima donna-simbolo, capostipite di una lunga serie che si concretizzerà nelle Brunalbe, Luise, Selinunte e, Akreidee, Aelle, in una continua variazione sul tema dove l’eros androgino, femminino o bisessuale che sia, rimane il centro nevralgico della concezione di fondo. La stessa posizione della donna in primo piano ricorda i corpi adagiati e semistesi sul triclinio, postura ripetuta tra l’altro in molte altre incisioni. E tuttavia anche altre possono risultare le matrici figurative di Zancanaro, soprattutto le suggestioni orientali. Trapela anche una precisa segnalazione dell’inesauribile capacità creativa di Zancanaro. In particolare si ricava la caratteristica principe del suo modus operandi, ovvero la capacità di affrontare di volta in volta serie tematiche per poi ritornare indietro senza però cedere mai alla ripetizione. In effetti la stessa costruzione di questa litografia qui oggetto d’analisi, tripartita, appare quasi una via mediana tra uno schizzo e un racconto in serie, con più episodi nel medesimo spazio narrativo, e in cui la figura femminile principale, che occupa tutta la diagonale dell’immagine, sembra essere l’esito ultimo di una storia che parte dallo sfondo dell’immagine. Un’irruenza, anche inventiva, che diviene il carattere primo, e la qualità, della produzione dell’artista.