Gli inizi di Migneco appaiono influenzati da Van Gogh e dagli espressionisti; i primi quadri, autobiografico-esistenziali, possono ricordare Scipioneo Sironi. Nel presentarlo alla Biennale di Venezia nel 1952, Salvatore Quasimodo definì Migneco “uno dei più validi rappresentanti del neorealismoitaliano; certo il più carico di umori pittorici che lo allontanano dalla illustrazionee dallo spessore dei corpi visti con sguardo imitativo”. Se il paragone con Guttuso sorge inevitabile, in Migneco manca la visione politicoideologico-sociale dell’arte, a favoredella dimensione umorale-istintualeed espressiva.
Pur nella complessità dei referenti della sua formazione e nella sfaccettata evoluzione della sua ‘poetica’, per capirne la cifra più autentica e distintiva Migneco va inquadrato in rapporto privilegiato col gigante dell’arte novecentesca: Picasso, perché tutta o quasi la produzione di Migneco non avrebbe ragione di esistere senza la nuova umanità, titanica e ‘primitiva’, potentemente plastica, vigorosamente espressiva, monumentale e simbolica, creata dal genio spagnolo. In entrambe le litografie qui presentate l’ascendente piacassiano è fortissimo. Solo alla fine degli anni ’60 Migneco debutta come incisore: il suo corpus grafico, composto di acqueforti, acquetinte, litografie, pur numericamente contenuto dimostra una perfetta consapevolezza delle peculiarità linguistiche ed espressive dei media grafici ed insieme una profonda sintonia e coerenza con l’universo della sua pittura.