Ardengo Soffici nacque a Rignano sull’Arno il 7 aprile 1879. A tredici anni si trasferì con la famiglia a Firenze: trovò impiego presso una fabbrica di smalti e poi presso un ricco avvocato che gli consentì di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Conobbe e iniziò a frequentare giovani artisti e letterati (Spadini, Costetti, Graziosi): partì quindi alla volta di Parigi per visitare l’Esposizione Universale. Il soggiorno venne prolungato per circa tre anni, durante i quali non solo espose, ricevendone approvazione, agli Indipendenti, ma soprattutto entrò in rapporto con i principali esponenti del mondo artistico e letterario parigino. Ne scaturì una proficua collaborazione con alcune delle riviste francesi oltre che la conoscenza diretta di artisti e letterati (Picasso, Braque, Matisse, Apollinaire, Jacob). Nel frattempo, durante le estati trascorse in Italia, conobbe Giovanni Papini, allora direttore, insieme a Giuseppe Prezzolini, della rivista «Leonardo», cui Soffici collaborò. Al ritorno definitivo in Italia, il sodalizio fra i tre si fece più saldo e si concretizzò nella creazione della rivista «La Voce», fondata alla fine del 1908, in cui Soffici pubblicò diversi articoli volti, tra l’altro, a far conoscere nella nostra nazione gli impressionisti francesi e la scuola cubista o a far apprezzare l’operato di Medardo Rosso. Quando, intorno al 1913, subentrarono esigenze diverse, Soffici e Papini si staccarono da «La Voce» per fondare una nuova rivista, «Lacerba», molto più aperta e spregiudicata. Nel periodo prebellico Soffici fu uno dei più attivi sostenitori dell’interventismo, trasformando la sua rivista in un vero e proprio organo politico. Durante il conflitto, coerentemente con le sue idee, partì volontario per il fronte. Alla fine della guerra, dopo essersi sposato, si trasferì nella casa materna di Poggio a Caiano sperando di potere finalmente dedicarsi esclusivamente all’arte, ma le tensioni del dopoguerra lo costrinsero a proseguire il suo impegno politico e morale collaborando a pubblicazioni come il «Popolo d’Italia», su cui pubblicò una lettera aperta a Mussolini inneggiante al fascismo. Sulla base di queste idee decise di fondare una nuova rivista la «Rete mediterranea», filo conduttore della quale era il ritorno all’ordine in politica, nelle lettere e nelle arti. In questi anni non cessò mai di dipingere e la sua vena si rivelò talmente produttiva che il suo amico Vallecchi poté organizzare, già nel 1920, una mostra a Firenze in cui vennero esposti più di cento suoi lavori. Con l’avvento del fascismo, sempre fedele al suo credo, si trasferì a Roma dove venne chiamato per dirigere una parte del giornale del partito («Il nuovo Paese», poi «Corriere Italiano») ma, qualche tempo dopo, non potendo realizzare il sogno di “costituire, accanto al motore politico, un nucleo di forze artistiche e letterarie capaci di esprimere i nuovi spiriti e la nuova figura ideale dell’Italia rinascente e incamminata verso il suo grande destino” (Cavallo 2000,p. 114), fece ritorno a Poggio a Caiano dove restò fino alla morte occorsa nel 1964.
La litografia Casa del Berna riprende ancora una volta un motivo già trattato. Si tratta del panorama che Soffici vedeva dalla sua abitazione di Poggio a Caiano, per la prima volta ritratto in un dipinto del 1923, nella fase post futurista, ossia quella del “ritorno all’ordine”. Lo stesso soggetto venne poi riproposto in una tela del 1927 in cui casa, pagliaio e campagna circostante sono tratteggiati con pennellate dense e dalla cromia accesa; e ancora ripetuto nel 1938, poi negli anni ’40 e infine nel 1960, 1962 e 1963, per non parlare dei molti altri dipinti intitolati in maniera diversa ma dove, nelle linee di una casa, dei cipressi e della natura circostante, è possibile riconoscere la stessa identica visuale. La casa del Berna la grafia appare spezzata, tratteggiata e a piccoli tocchi, restituendo ancora una volta un’immagine nuova di un soggetto noto e frequentato, allineandosi alle prove di tutta questa cartella.