Suo padre, anche lui di nome Carlo, tra i più noti paesaggisti a Firenze intorno a metà Ottocento, aprì una scuola privata di pittura di paesaggio che contribuì ad aggiornare la pittura toscana di questo genere sulle nuove proposte romane, e d’oltralpe. Carlo, a Firenze con la famiglia dal 1840, seguì gli insegnamenti del padre e divenne anche lui noto paesaggista, continuando a dirigere insieme al fratello Andrea, dalla metà degli anni Cinquanta, la scuola istituita dal padre. Dal 1847 inizia ad esporre alla Promotrice alcuni suoi paesaggi, legati alla tradizione nordica, e inseguito presenterà alle esposizioni numerose altre vedute, che ritraggono diverse zone della Toscana, dall’Appennino all’Isola d’Elba, dal Valdarno superiore alla lucchesia ed anche dintorni di Pisa. Continuò fino ai primi anni Ottanta a dipingere paesaggi senza innovazioni stilistiche, rimanendo fedele alla sua sigla tradizionale, trasferendosi a Mosca pochi anni prima della sua scomparsa.
La sua pittura, sulla scia di quella del padre, propone delle vedute studiate dal vero, descrittive e naturalistiche, in cui inserisce accenti romantici di gusto nordico. In questo acquerello, databile intorno al 1850-60, nonostante la tecnica particolarmente veloce spesso usata en plen air, descrive con attenzione elementi del paesaggio, come le conformazioni rocciose, la superficie dell’acqua, il dissolversi in lontananza delle montagne, anche se sembra mancare una connotazione geografica precisa di questo luogo di montagna.