Probabilmente fu il padre Pietro, di professione chirurgo ma che si dedicava anche alla pittura, ad insegnare ai fratelli Francesco e Giuseppe le prime regole del disegno, avviandoli verso quella carriera di pittori che li porterà a diventare i protagonisti della pittura pisana del primo Settecento. Lavorarono sempre in coppia dedicandosi pressochè esclusivamente alla pittura decorativa ad affresco, Giuseppe nel ruolo di figurista e Francesco di prospettico. Dopo un breve alunnato presso il pisano Giovan Camillo Gabrielli, si dedicano a vedute prospettiche di architetture per incisioni, tra i quali spicca l’impegno nelle illustrazioni dell’opera di Giuseppe Martini, alla costruzione di apparati per feste e progetti di decorazione architettonica. Del 1704-1705 è il soggiorno a Firenze, dove entrano in contatto con quell’ambiente artistico, in particolare con Pier Dandini che nel 1711 li propone alla fiorentina Accademia del Disegno. Lì realizzano anche affreschi perduti, ma sarà a Pisa, in residenze private e luoghi di culto, che si consuma la loro attività, a parte un soggiorno a Siena, nel 1726, e interventi in centri del contado limitrofi a Pisa. Tra le loro opere più significative la decorazione della chiesa di San Matteo e dei palazzi Simoneschi, Gambacorti e in Arcivescovado.
Incise ad acquaforte da Giovanni Gerolamo Frezza su disegno dei fratelli Giuseppe e Francesco Melani, le stampe erano corredo figurativo nel testo Theatrum Basilicae Pisanae del canonico Giuseppe Martini. Una pubblicazione, edita in prima edizione nel 1705, che si presenta tra le più significative imprese editoriali di inizio secolo, con l’intento di illustrare in maniera inedita e particolareggiata l’insigne complesso monumentale pisano formato da cattedrale, battistero, camposanto e torre campanaria.
Disegnate “ad vivum” in gran parte dai Melani, le tavole furono incise nella stamperia romana dei De Rossi da esperti calcografi e offrono un apparato iconografico rinnovato, a partire dalla scelta all’epoca inusuale di illustrare non monumenti e antichità classiche, bensì architetture medievali con palinsesti di età moderna. non trascurano di descrivere anche l’arredo interno. Sfogliando le tavole disegnate dai Melani si nota la volontà di tradurre graficamente il monumento con spirito scientifico, riproducendolo fedelmente in ogni suo particolare, caratteristiche evidenti anche nell’illustrazione delle tre porte bronzee del duomo. Il disastroso incendio che nella notte tra il 24 e 25 ottobre 1595 devastò il duomo di Pisa distrusse anche le tre antiche porte della facciata e da questo evento nacque l’impegnativa commissione di queste porte bronzee, realizzate a Firenze tra il 1596 e il 1604 da scultori fiorentini. Il programma iconografico, scandito da venti formelle narra, nella porta centrale Storie della vita di Maria, alla quale è dedicata la cattedrale, mentre nelle porte laterali Storie della vita di Gesù.