Artista o matematico?

Come “vedere” le opere di Escher?
Stefano Zuffi

Sono la dimostrazione di teoremi geometrici, raffinati inganni visivi, oppure, semplificando, opere di pura creatività? L’incisione olandese risponde di persona: dopo aver ricordato di non essere mai riuscito ad avere la sufficienza in matematica quando era a scuola, ha affermato: “Vedere due mondi diversi nello stesso identico luogo e nello stesso tempo ci fa sentire come se fossimo in balìa di un incantesimo. Solo un artista ci può dare questa illusione e suscitare in noi una sensazione eccezionale, un’esperienza dei sensi del tutto inedita”. E con umiltà ha aggiunto: “Credo che produrre immagini, come faccio io, sia quasi esclusivamente questione di volerlo fare davvero bene”

Tuttavia, la domanda è lecita. In fondo, Escher non ha mai frequentato circoli di artisti, avanguardie, movimenti, rimanendo consapevolmente ai margini dello sviluppo della critica e del mercato dell’arte; la sua fama ha cominciato a crescere proprio grazie all’interesse suscitato dalle stampe più “estreme” e astratte presso gli studiosi di matematica.

Conoscitore raffinatissimo delle tecniche incisorie classiche, Escher ha evitato per tutta la vita il confronto con il presente, preferendo semmai osservare e interpretare stimoli e modelli del passato. In un lungo itinerario umano e creativo alla fine del quale Escher ha potuto affermare che “Chi sa cercare scopre che la meraviglia è dentro di sé”.