Taluni pensano che la Scienza abbia portato a tanti errori, a tanti sbagli commessi dall’uomo, e quindi anche a tanti disastri, naturali e non, e pertanto deve essere frenata e imbrigliata.
In realtà non è la Scienza (la conoscenza) a produrre quei disastri, ma l’uso delle scoperte scientifiche. Quindi è importante essere vigili su tali applicazioni: ogni nuova conoscenza può condurre a manipolare e a distruggere, oppure a costruire e a migliorare. La conoscenza consapevole e la nostra etica sono l’unica arma che abbiamo per permettere alla Scienza di progredire e di far progredire la specie umana. Così come la correttezza professionale che deve caratterizzare tutte le fasi della pratica scientifica, dalla raccolta dei dati alla loro pubblicazione, ugualmente il mondo scientifico deve mostrare di possedere una consapevole etica sociale nei processi di utilizzazione delle scoperte della Scienza.
La storia permette di indagare la ricerca di regole morali in ambito scientifico, a partire dal giuramento di Ippocrate (IV secolo a.C.), passando poi per Galileo (autonomia della Scienza da ipoteche di carattere metafisico o teologico), fino ad arrivare al fondamentale Codice di Norimberga. Allo stesso modo, mostra che talvolta la linea di separazione tra errore scientifico e condotta scorretta, o addirittura imbroglio, può non essere chiara.
A partire dai primi decenni del Novecento si sono sviluppate profonde riflessioni e discussioni sui doveri morali di scienziati e ricercatori verso l’intera società. Per molte ricerche è diventata sempre più centrale la responsabilità del ricercatore sia nell’anteporre il rispetto di valori etici e di norme al raggiungimento dei propri obiettivi, sia nel valutare il possibile impatto dell’eventuale uso dei risultati della propria ricerca sugli esseri umani e sull’ambiente in generale. Nella società contemporanea le ricerche nei campi dell’ingegneria genetica, della robotica e del nucleare testimoniano la rilevanza di questa responsabilità. Talvolta i diritti di proprietà intellettuale e obblighi di riservatezza dei dati pongono limiti alla responsabilità sociale dei ricercatori. Per altro verso ci si interroga sulla opportunità di loro eventuali tentativi volti ad influenzare le scelte politiche, contrapponendo di conseguenza la competenza e l’oggettività del mondo della ricerca alla pubblica opinione.