Alessandro Breccia, Università di Pisa
Com’è noto, le vicende studentesche del Sessantotto pisano presentarono sotto molteplici aspetti un rilievo nazionale, anticipando e spesso influenzando in maniera decisiva le evoluzioni del movimento, basti pensare alle Tesi della Sapienza del febbraio 1967.
Il caso dell’università di Pisa risulta tuttavia non meno paradigmatico se lo si osserva dal peculiare punto di vista fornito dall’esame dell’operato delle istituzioni e delle autorità accademiche. Non poteva peraltro che essere così, se si considera che il rettore del locale ateneo dal 1958 al 1972 fu Alessandro Faedo, una figura centrale per la storia del sistema universitario repubblicano che negli anni più intensi della contestazione ricoprì anche il ruolo di presidente della Conferenza permanente dei rettori – dopo esserne stato tra i fondatori – e poi quello di presidente del Centro Nazionale per le Ricerche (CNR).
Negli anni del suo lungo rettorato, Faedo fu efficace e determinato interprete di un ambizioso disegno di sviluppo dell’Università di Pisa che sarebbe risultato inevitabilmente ben poco permeabile a molte istanze evocate dall’inedito protagonismo studentesco e soprattutto alle rivendicazioni politiche provenienti dalla montante mobilitazione.
La peculiare “dialettica” tra due visioni dell’università sostanzialmente inconciliabili si manifestò già con le occupazioni del dicembre 1963-gennaio 1964. Va rilevato, tuttavia, che rispetto a gran parte dei colleghi, presidi o senatori accademici, Faedo mostrò subito una superiore consapevolezza del peso politico di quanto stava accadendo, non derubricando le agitazioni a marginali fenomeni di carattere locale e tentando di elaborare una strategia non del tutto priva di segnali di “apertura” nei confronti degli studenti, con l’evidente finalità di marginalizzare le componenti più «estremiste».
Nel 1968, ancora una volta, la definitiva esplosione della rivolta mise in luce a Pisa prima che altrove alcune linee di tendenza destinate ad acquisire una portata generale nella stagione del «lungo Sessantotto». Il primo processo in Italia contro le occupazioni, che vide sul banco degli imputati Umberto Carpi e Francesco Di Donato, seguito da altri procedimenti avviati dal Procuratore generale della Corte di Appello di Firenze Calamai, fecero percepire in maniera immediata che il governo e parte della magistratura intendevano leggere la montante conflittualità studentesca considerandola come una questione eminentemente di ordine pubblico. Di fronte al materializzarsi di una simile linea di condotta, che aveva come indiretta conseguenza l’erosione della sfera di autogoverno dell’istituzione-università, Faedo giunse a prendere posizione in senso contrario, ingaggiando una disputa con il giudice Calamari in difesa dell’intangibile autonomia della comunità universitaria.