Giorgio De Chirico, La teatralizzazione del sé


La mostra di Giorgio de Chirico si apre con un dei soggetti più ricorrenti nella produzione dell’artista: gli autoritratti.
De Chirico ha sempre usato il tema dell’autoritratto come strumento di ricerca pittorica, di indagine psicologica e di celebrazione di sé stesso.

Nel corso degli anni, in cui tutta la sua pittura ha evidenziato accenti teatrali, il palco e il sipario come simboli della rivelazione metafisica, De Chirico, attraverso gli autoritratti, darà sempre più spazio alla “teatralizzazione del sé”.
Il culmine di questo processo “teatralizzazione” avviene nei primi anni Quaranta, quando De Chirico - in parallelo alla sua attività di scenografo - pubblica il Discorso sullo spettacolo teatrale (1942): un testo che contaminerà, esteticamente, anche la sua produzione pittorica.

Dal palcoscenico teatrale, questo processo si riverserà nel palcoscenico della vita: la coincidenza è estremamente significativa, e De Chirico si rappresenterà da allora sempre più spesso, negli autoritratti, usando costumi teatrali, e immerso in una dimensione “anacronistica”, fuori dal tempo, senza tempo.
Nelle interviste televisive, l’artista spesso indossa quegli stessi costumi accentuando l’aspetto performativo della sua arte: il travestimento, operazione concettuale e avanguardista, in anticipo sui tempi, insiste sul senso atemporale dell’immagine e spiazzerà l’osservatore e i critici, con una metafisica più sottile, ma sempre enigmatica, che accentua l’artificio dell’arte e iconizza il personaggio: “noi amiamo la finzione”, aveva scritto de Chirico.

Ancor prima il suo amato Nietzsche lo aveva avvertito: “Tutto ciò che è profondo ama la maschera”.