Marc Chagall era rientrato in Francia da alcuni anni e proprio in questo periodo, realizza alcune opere piene di poesia favolistica, di cui questo olio è un esempio. Su un fondo di un azzurro turbolento, acceso da pennellate irregolari e fumose, troneggia la figura affusolata di una giovane donna elegantemente vestita. Il corpo snello è privo di peso e galleggia sinuoso in questo mare onirico dove si muovono minuscoli personaggi: riconosciamo tra questi i musicisti e la capra. Un bagaglio iconografico che si rivela essere un filo rosso che attraversa l’intera produzione di Chagall, desunto da ricordi legati all’infanzia, come dalla tradizione religiosa e culturale dell’artista, di origine russo- ebraica. Il ricco bouquet, un’esplosione di colori, a cui Chagall concede corposità materica, invade parte della scena, volto a rasserenare questo paesaggio intimo. “È soltanto mio il paese che è nell’anima mia” scrive Chagall, a sottolineare l’importanza che assegna al proprio mondo interiore, alla dimensione del sogno e della memoria. Ma l’aspetto che colpisce maggiormente è il volto bifronte della giovane sposa, debitore in special modo della tradizione ebraica chassidica, che riconosce la presenza divina in ogni aspetto della realtà. La dualità, in questo caso, non è contrapposizione tra i due aspetti istintuale e morale, come per la tradizione artistica occidentale del Bivio tra Virtù e Vizio, ma di completezza proprio nella diversità. Come i due volti all’interno dello stesso corpo degli innamorati, questa giovane sposa non è altro che l’esternazione del concetto di unione degli opposti come armonia delle cose nel mondo.