Pio Semeghini si trasferì a Parigi nel 1899, dove si avvicinò al mondo degli anarchici (Faure, Sembat, Mirbeau) e intrecciò rapporti con gli Italiens de Paris (Modigliani, Soffici, Severini, de Pisis). Dal 1911 al 1914 trascorse l’estate nella laguna veneta, a Burano, stringendo un sodalizio artistico con vari giovani artisti veneti protagonisti, con Felice Casorati e sotto la guida di Nino Barbantini, delle esposizioni di Ca’ Pesaro a Venezia. Dal 1914 al 1927 lavorò come giornalista per varie testate venete. Nel 1921 espose alla I Biennale romana; nel ’23 partecipò alla Quadriennale di Torino, nel ’26 per la prima volta alla Biennale veneziana, dove sarebbe tornato molte altre volte. Nel 1927 si accostò al gruppo fiorentino del Selvaggio e dal 1928 al ‘42 insegnò negli istituti d’arte di Lucca, fino al ’30, e di Monza. Nel ’31 fu invitato alla I Quadriennale romana; nel ’50 gli fu assegnata una sala personale alla Biennale di Venezia. Il successo di critica e di pubblico giunse al culmine nel ’56, con la grande antologica curata da Licisco Magagnato, Carlo Ludovico Ragghianti e Giuseppe Marchiori (Verona, Venezia, Milano). Alla morte nel ’64 fu onorato con una mostra postuma alla Biennale di Venezia.
La presente Natura morta con clessidra e mandolino palesa affinità soprattutto con nature morte della seconda metà degli anni Quaranta e dei Cinquanta, sia per la tramatura giallo-ocra del fondo di compensato lasciato ampiamente visibile e cromaticamente integrato nella visione, sia per la luminosità diafana dei colori, sia per la tendenza allo sfaldamento delle forme e degli oggetti, sul punto di dissolversi ma ancora visivamente presenti; si vedano in particolare, anche per la ricorrenza della clessidra, la Natura morta con limoni e clessidra del 1946 e la Natura morta del 1950, che spingono per una datazione del dipinto in esame intorno al 1946-50. Quanto all’uso dialettico del supporto visibile in compensato, esso è tratto distintivo della pittura di Semeghini, ancor più nelle opere tarde, tratto che lo distacca radicalmente da qualsivoglia retaggio post-impressionista così come da una sua impropria annoverazione tra i Chiaristi, per proiettarlo con individuale originalità nel vivo delle riflessioni linguistiche ed estetiche novecentesche.