Benché dotato di un certo talento, il profilo biografico di Francesco Pascucci presenta ancora molti lati oscuri. Dell’artista formatosi nell’ambito romano nella seconda metà del Settecento si ricordano alcuni ritratti di personaggi stranieri, quali Oswald von Mering di Colonia (1793), C.W. Schuller di Rotterdam e il Prefetto Fauchet, direttore del museo di Drauguignan in Francia, e due quadri realizzati per il duomo di Livorno: un Sacrificio di Abramo e Mosè che scende dal Sinai.
La presa di Troia, ha come sfondo la città di Pisa evocata per sineddoche da uno dei monumenti più celebrati della fine del Settecento: la torre. Il pittore svolge il soggetto nei termini di un compassato eloquio accademico dove abbondano citazioni colte dall’antico: dalla posa di Paride ispirata a quella dell’Apollo del Belvedere, ripresa tuttavia con qualche lieve variazione nell’assetto degli arti inferiori, alla figura di Elena, abbigliata con il peplo e pettinata all’antica, per finire con il tempio di impianto circolare sulla destra la cui architettura ricorda quella romana. Referenze figurative di chiara matrice neoclassica sono invece da rintracciare nelle pose dei personaggi atteggiati in gesti eloquenti e didascalici, nel colore nitido e brillante.