Alessandro Volpi nacque a Pisa il 25 novembre 1909 da una famiglia di umili origini. L’interesse per la pittura iniziò relativamente tardi, all’incirca all’età di diciotto anni, e fu un incontro casuale, tanto che Volpi può definirsi un autodidatta. Da questo momento in poi tutta la sua vita fu concentrata nell’acquisizione di tecniche pittoriche, studiate direttamente su maestri antichi e moderni: dai toscani del Due e Trecento, all’arte rinascimentale, sino ai principali protagonisti del panorama artistico otto e novecentesco. Non potendo sostenersi con la sola pittura, Alessandro Volpi si dedicò ai più svariati mestieri (boscaiolo, muratore, pescatore, operaio, portiere); durante la guerra fu fatto prigioniero in Algeria, da cui si liberò nel 1944, durante il quale si dedicò al disegno. L’ascesa del Volpi ebbe inizio con gli anni ’50 quando si affermò prima in Italia poi all’estero. Da questo periodo in poi si infittirono i premi e le rassegne: nel 1963 ricevette la medaglia d’oro della Camera dei Deputati, nel 1971 venne redatta la prima monografia sul pittore, curata da Elio Mercuri, mentre quattro anni dopo gli venne affidato il compito di eseguire le scenografie de La forza del destino all’Arena di Verona; contemporaneamente fu allestita in città una sua personale presso il Palazzo della Gran Guardia. Numerose retrospettive organizzate dopo la sua morte sancirono la diffusione della conoscenza della sua opera e la sua fama, non solo a Pisa.
Soltanto una minima parte delle opere del Volpi è datata e questo rende complesso stabilire una cronologia esatta della sua produzione pittorica. Questi due ritratti paterni potrebbero essere riferiti alla prima fase della vita artistica del pittore e comunque da datare entro gli anni ’40. Parlando del padre di Volpi, così scriveva Furio Bartorelli in un articolo sul Volpi, “pittore disoccupato”: “rassomiglia stranamente al ramo di una quercia piena di rughe ed usa a tutti i venti”. I due ritratti restituiscono le sembianze di un uomo legato alla realtà semplice della vita, del tutto estraneo all’arte e, piuttosto, avvezzo all’essenza pratica delle cose. Entrambi i ritratti mantengono salda una forte impronta realistica: le masse squadrate, di cézanniana memoria, si innestano su un vivissimo tronco di matrice toscana. È infatti sicuramente ancora presente in questa fase della carriera del Volpi una forte influenza, cercata o automaticamente assimilata, della pittura autoctona, con particolare riferimento all’insegnamento di Fattori, alle esperienze post-macchiaiole, all’ambiente pisano o viareggino, dominato quest’ultimo da Lorenzo Viani, che lo stesso Volpi elesse insieme a Felice Carena, suo maestro ideale. Semmai si registra una maggiore plasticità nel ritratto in cui il padre è colto in modo più ravvicinato e quasi di fronte, e quindi una leggera maturazione del linguaggio del Volpi, con la definizione delle forme che si fa più sintetica, più spigolosa. Maggiormente percepibile è infatti l’esigenza di andare oltre i limiti della sua terra per guardare al panorama europeo, conosciuto con tutta probabilità attraverso stampe e riproduzioni e non per visione diretta.