Il Genius loci di Port Lligat e Gala
Riavvicinatosi alla fede nel 1949, Dalí inizia a raffigurare soggetti religiosi ispirati alla tradizione artistica italiana, che assumono le sembianze della moglie Gala, nella cornice ascetica di Portlligat.
Nel dipinto del 1950, il paesaggio della baia fa da sfondo silenzioso alla scena che si svolge in primo piano, dove tra alcune figure del luogo, un uomo offre ad un angelo qualcosa da un piccolo cesto: “Si tratta di una veduta del paesaggio che considero il più bello del mondo e che, per mia grande fortuna, è esattamente quello su cui si affaccia la mia camera da letto. Gala è l’angelo di Portlligat e Dalí è l’uomo che le si avvicina”.
La descrizione poetica di Dalí è un atto d’amore verso la donna che è il punto di riferimento e l’ispiratrice della sua svolta artistica: “La mia fantasia doveva ridiventare classica. Fu Gala a darmi fede nella mia missione.” E un tributo, ancor più forte, al luogo del raccoglimento, della riflessione, e della sua memoria.
Portlligat, con la sua prorompente geologia planetaria, ha marchiato come il ferro rovente l’esistenza dell’artista, dall’infanzia alla maturità: “Sono inseparabile da Portlligat, dove ho stabilito tutte le mie più genuine verità e radici”.
Pochi mesi prima del dipinto di Dalí, Cesare Pavese confessa le stesse indelebili verità nelle pagine della Luna e i Falò: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”
Dalí illustratore, La Divina Commedia di Dante Alighieri
Nel 1950 Dalí riceve, dall’Istituto Poligrafico dello Stato italiano, il prestigioso incarico di illustrare la Divina Commedia di Dante.
Entusiasta, scrive: “Sono stato ateo durante l’infanzia e l’adolescenza. Sono diventato mistico attraversando le esperienze della giovinezza. Mi è stato commissionato un lavoro per una monumentale edizione italiana di un’opera che mi attrae fino all’ossessione perché vi ritrovo entrambi gli aspetti della mia vita.”
Per niente intimidito dalla sfida, Dalí descrive l’epopea del viaggio dantesco verso la luce con immagini ispirate sia al classicismo rinascimentale che all’epoca in cui vive. E in due anni, utilizzando una commistione di tecniche, termina le illustrazioni.
In una sorta di proiezione autobiografica, l’artista apre il primo canto dell’Inferno con l’immagine del poeta nella piana dell’Empurdà, terra natale del pittore, assorto nella contemplazione della sua esistenza.
Nei successivi canti, Dalí inserisce elementi stilistici che ricordano le opere del periodo surrealista. La figura desolata di Bertrand de Born, con le ossa allungate e frammentate (Inferno, canto XXVIII), è un eco dello scheletro spoglio nei Canti di Maldoror; l’angelo caduto (Purgatorio, canto I) riprende il tema dei cassetti dello Stipo antropomorfico. L’apparizione di Beatrice, al termine della seconda Cantica, è invece, un chiaro tributo a Botticelli, che insieme a Raffaello è l’artista di riferimento nell’opera. Le immagini del Paradiso sono, infine, un tripudio di luce e delicatezza.
La serie originaria viene esposta in Italia nel 1954. A causa – però - di alcune polemiche dell’opposizione, contraria al fatto che uno spagnolo si occupasse di illustrare Dante, il governo italiano recide il contratto con l’artista.
Le illustrazioni verranno stampate, con la trasposizione xilografica, solo tra il 1959 e il 1963. E saranno pubblicate, in un'edizione integrale della Divina Commedia, dall’editore francese Joseph Forȇt.
Eco geologica. Dalla Pietà di Michelangelo
Negli ultimi anni della sua attività artistica, Dalí interviene più volte sul tema della Pietà di Michelangelo, in una sorta di meditazione sulla morte.
Eseguite a Portlligat, nel corso del 1982, le serie sono di poco precedenti o successive alla morte dell’amata Gala.
In Eco geologica, l’immagine della Pietà si staglia su uno sfondo malinconico, in cui mare e cielo si fondono.
Nei fori del petto della Madonna affiora la roccia di un paesaggio marittimo, che ha le sembianze del volto del Cristo ed evoca, come una cassa di risonanza geologica, la figura dell’immagine principale. Anche il corpo del Cristo presenta dei fori, da cui si scorge il paesaggio della costa amata dal pittore, dove ha vissuto con Gala e ha stabilito tutte le sue più genuine verità e radici.
L’opera, nella relazione che si crea tra la Pietà di Michelangelo e il paesaggio onnipresente, comunica il profondo senso di dolore per la perdita del punto di riferimento principale della vita dell’artista: Gala.
In un mondo che sprofonda, Dalí comprende che l’unico modo per resistere è affidarsi – ancora una volta - a quell’universo, che Gala aveva stimolato:
“ A differenza delle opere dei moderni, che non durano più di una stagione e che non lasciano dietro di sé tracce spirituali più importanti di una collezione di moda, le opere degli antichi maestri danno vita alla pittura del futuro, perché esse soltanto possiedono l’intera arte, (…) un’arte che vivrà anche in futuro.”
© Salvador Dalí, Fundació Gala-Salvador Dalí