Per molti versi assimilabile ad Archeologia, per l’uso di un linguaggio arcaizzante e di elevatissima pregnanza simbolica, per la meditazione sul significato che racchiude il soggetto pittorico, e per una datazione che può essere pressoché similare, è l’altro dipinto chiamato emblematicamente da Volpi Bombardamento sull’altare, esposto all’Arena di Verona nella mostra antologica dedicata al pittore nel 1975. È facile infatti immaginare che l’idea di quest’ultima opera nasca proprio dal trauma vissuto durante il secondo conflitto mondiale. Il dramma della guerra è qui sintetizzato nella rappresentazione di un Cristo mutilato in più punti e quasi scarnificato dagli effetti devastanti dei bombardamenti; il Cristo è privo della croce e sembra reggersi nel vuoto, violentemente destrutturato e collocato su uno sfondo spazialmente impraticabile.
Nella resa dell’immagine è riconoscibile qualche richiamo alle opere scultoree di Nicola Pisano, ma soprattutto alla drammaticità di quelle di suo figlio Giovanni, entrambi rappresentati esaustivamente nella Mostra della scultura pisana del Trecento, allestita nello stesso 1946 in quelli che diventeranno di lì a poco i locali del Museo Civico cittadino. Il grande evento espositivo era nato sulle ferite della guerra: “L’occasione di così inusitata raccolta, poiché non c’è ricordo di una mostra di sculture antiche di tale mole, importanza e quantità, è stata data dalle remozioni fatte nel 1940-43 per proteggerle dai danni bellici”; l’evento, come sottolineava Piero Sanpaolesi, doveva fornire prova tangibile e concreta “della nostra presenza fra i popoli che possono essere spiritualmente operanti in questo dopoguerra”. Alla luce di queste parole risulta ancora più rappresentativa e cosciente la scelta volpiana, nella sua innegabile suggestione proprio perché verosimilmente legata alla ripresa anche culturale del secondo dopoguerra. Proprio la mostra pisana del 1946 rappresenta peraltro un momento fondamentale nella vita artistica del Volpi per la conoscenza del linguaggio dell’arte trecentesca che contemporaneamente il pittore ricercava in pittura nello studio di Giotto e Masaccio, dei primitivi senesi o degli artisti che poteva ammirare nelle pareti del Camposanto della sua città, anch’esso pesantemente toccato dai bombardamenti.