Meglio di qualsiasi altro tentativo interpretativo, le parole del Volpi spiegano il processo creativo che sta alla base di molte sue opere: “Non credo di inventare niente. Semplicemente i miei occhi ‘vedono’ certe cose e le vedono in un ‘certo’ modo. Forse è un po’ come se io traducessi delle situazioni cromatiche che mi si rivelano e che, nell’elaborarle, prendono una determinata forma e si concretizzano”. La gabbietta – esposta nella mostra antologica del Volpi tenuta a Verona nel 1975 – ben esemplifica questo processo: osservando il quadro emerge come il soggetto rappresentato, più che specchio di una realtà oggettiva e condivisibile, diviene espressione di una realtà soggettiva, intima, vera per l’artista che l’ha vissuta. Il processo di esternamento di questa visione interiore è attuato per mezzo del colore, ed è così che il protagonista del dipinto, la gabbietta con il suo uccellino stilizzato, risulta immerso in un patchwork di forme irregolari di puro colore in cui varie tonalità di rosso, tinta predominante, gli fanno da cornice per mettere in risalto il tripudio di cromie, dal bianco al giallo, dal viola al verde, su cui si concentra l’occhio dell’osservatore individuando il fulcro del dipinto. Declinazione personale, dunque, in cui si avverte un fare pittorico capace di avvicinarsi, come in questo caso, anche a modelli artistici che parevano apparire più distanti, come l’astrazione, non a caso però utilizzata con un preciso aggancio al dato reale, che pare rimandare a talune soluzioni di Klee.
La gabbietta, olio su tela
Periodo: XX