Umberto Boccioni, Quelli che vanno (Studio grande per Stati d’animo)

Umberto Boccioni, teorico del movimento futurista, realizza, tra il 1911 e il 1912, i due trittici degli Stati d’animo. Entrambi, composti da tre dipinti intitolati Gli Addii, Quelli che vanno e Quelli che restano, affrontano, in maniera differente, la dimensione emotiva di una separazione dovuta a una partenza.
Nell’opera Quelli che vanno (studio grande per Stati d’animo), quasi certamente un dipinto autonomo, il volto febbrile di colui che parte, e le immagini fugaci del paesaggio, sono quasi smaterializzate per effetto del treno in corsa. Per evocare la dimensione del movimento, dal punto di vista emotivo e non ottico, Boccioni introduce nel quadro l’elemento formale dell’angolo acuto di Mach: “un oggetto in velocità (treno, automobile, bicicletta) nella pura sensazione appare come un ambiente emotivo sotto forma di penetrazione orizzontale ad angolo acuto.” Il profilo nero della locomotiva, in alto a sinistra, e le pennellate nere, oblique e penetranti, lungo tutto il dipinto, accentuano il senso di velocità.
Espressione lirica del dinamismo pittorico futurista, in Quelli che vanno, Boccioni orchestra, simultaneamente, con un arabesco di forma e colore, la percezione dell’oggetto e l’interiorità psichica del soggetto. Aprendo il cammino, come riconoscerà anni dopo André Breton, al Surrealismo.

UMBERTO BOCCIONI Quelli che vanno (Studio grande per Stati d’animo), 1911 Olio su tela 96 x 120,5 cm


Giacomo Balla, Automobile + velocità + luce

“La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.”
L’automobile, emblema del progresso moderno e del futurismo stesso, diventa per Giacomo Balla il soggetto tematico di oltre cento opere, tra il 1912 e il 1914. Per niente interessato all’immagine estetica del referente, Balla scende in strada per studiare, analiticamente, l’insieme del fenomeno dinamico dell’automobile, e ne trascrive gli effetti di penetrazione nel paesaggio e nell’atmosfera.
In Automobile + velocità + luce, la tavolozza cromatica, composta con acquerello e seppia, è ridotta all’utilizzo del nero che, con un intreccio di linee e forme geometriche, quasi al limite dell’astrazione, restituisce la velocità e l’energia cinetica sviluppata dalla macchina in corsa. La sagoma dell’auto, ormai totalmente dematerializzata, ma ancora riconoscibile nello sdoppiamento delle ruote, del cofano e di autista e passeggero, risucchia totalmente la città con il suo passaggio turbinoso.
L’opera sintetizza, efficacemente, la tematica del dinamismo e della compenetrazione simultanea, e sottolinea la strada che caratterizzerà la produzione successiva di Balla: astrattista futurista.

GIACOMO BALLA Automobile + velocità + luce, 1913 Acquerello e seppia su carta 67,5 x 88, 5 cm