La speranza del navigatore.

“Ci sono nei miei quadri forme minuscole in grandi spazi vuoti. Gli spazi vuoti, gli orizzonti vuoti, le pianure vuote, tutto ciò che è spoglio mi ha sempre molto impressionato”.

Nello spazio desolato è come sospesa la possibilità di un movimento, la possibilità di una scoperta: una speranza.
Lo spazio desolato è il miglior punto di partenza.
Nel ciclo La speranza del navigatore, così come in Musica del Crepuscolo, Pittura I, Pittura III, o in Arcipelago selvaggio è proprio il piccolo formato ad amplificare la vastità delle possibilità. Miró, alla ricerca di quella magia che nasce dall’equilibrio degli opposti (un movimento immobile, un silenzio eloquente, una musica muta) sapeva che un grande spazio è sempre il frutto di un’evocazione, e che un’opera d’arte non deve racchiudere qualcosa di definitivo, ma rendere possibile l’inizio di qualcosa.
Non stupisce dunque che sia proprio nelle piccole cose che sentiamo la vastità dell’universo, e che qui, meglio che altrove, sia possibile “far irrompere l’infinito nel finito”. “Hokusai diceva che voleva sentire una vibrazione nel punto più piccolo dei suoi quadri” - ricordava Mirò; era un modello da seguire, per lui che si sentiva in profonda consonanza con lo spirito giapponese e che si misurò anche con gli haiku, poesie preziose non più lunghe di tre versi.

 
Joan Miró, Arcipelago selvaggio V, 1970, acquaforte e acquatinta, 58,5x92cm
 
Joan Miró, Arcipelago selvaggio IV, 1970, acquaforte e acquatinta, 58,5x92cm
 
Joan Miró, Musica del crepuscolo I, 1965, olio su tela, 16,5x24,5cm
 
Joan Miró, Musica del crepuscolo V, 1966, olio su tela, 19,3x33,3cm
 
Joan Miró, Arcipelago selvaggio VI, 1970, acquaforte e acquatinta, 58,5x92cm
 
Joan Miró, Pittura III, 1965, olio su tela, 19,2x27cm
 
Joan Miró, Pittura I, 1965, olio su tela, 19,2x24,6cm
 
Joan Miró, La speranza del navigatore III, 1973, olio su tela,24,5x41,5cm


Le sculture di Mirò

“È nella scultura che creerò un universo davvero fantasmagorico, dei mostri viventi"

diceva Miró, e in effetti le sculture che popolavano la mostra di Palazzo Blu avevano un aspetto inquietante, ma anche giocoso. Nate spesso dal calco di oggetti “trovati per un caso divino”, o che l’artista collezionava, combinati accidentalmente per provocare quella “magica scintilla” che dischiude infinite possibilità, le sculture di Mirò erano fatte per vivere anche all’aperto “affinché possano fondersi con la natura”, sebbene Miró le immaginasse popolare il suo atelier: “entrandovi, dovranno procurarmi una fortissima impressione, come se fossi capitato in un nuovo mondo”.
Esse rapiscono la nostra fantasia grazie alle loro forme primordiali e a una forza tellurica che sembrano possedere: “così semplificati, i miei personaggi appaiono più vivi”; se avessero tutti i particolari “mancherebbe loro quella vita immaginaria che ingrandisce ogni cosa”. Il rapimento avviene per mezzo di una non celata aggressività plastica, perché bisogna “dapprima provocare una sensazione fisica, per poi arrivare all’anima”.
Collegandosi, con le loro forme arcaiche e evocative, a quell’“arte anonima” che è la sorgente profonda della mitologia di Mirò, le sculture ci chiamano a un confronto giocoso con le nostre radici: nel loro fondere mito, terra, caso e fantasia, appaiono uno dei lasciti più felici del grande artista catalano.

 
Joan Miró, Donna e uccello, 1968, bronzo, 32,5x26x15cm
 
Joan Miró, Donna dai bei seni, 1969, bronzo, 40x13x10cm
 
Joan Miró, Personaggio, 1970, bronzo, 72x34x16cm
 
Joan Miró, Personaggio, 1967, bronzo dipinto, 217x47x39cm
 
Joan Miró, Giovane donna, 1966, bronzo, 30,5x19,5x2,5cm
 
Joan Miró, Donna-sole, 1966, bronzo, 87x31x23cm
 
Joan Miró, Donna, 1981-1983, bronzo, 55x30x22cm
 
Joan Miró, Donna sulla piazza di un cimitero, 1973-1983circa, bronzo, 60x98x51cm
 
Joan Miró, I tre capelli magnetici della bella bionda attraggono le farfalle, 1969, bronzo, 40,5x23x14cm
 
Joan Miró, Testa di toro, 1970, bronzo, 78x44x33cm


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