“Sotto la mia apparenza tranquilla, sono un uomo tormentato”.

Con tutta la sua potenza primordiale l'arte di Miró è esplosa in una mostra di dieci anni fa a Palazzo Blu, che descriveva il legame viscerale di questo artista taciturno e ribelle con la terra, con la tradizione popolare, con un Mediterraneo inteso come luogo lirico e con quel racconto anonimo collettivo, quella presenza umana nelle cose, che diventa mito.
In un percorso fatto di grandi tele dai colori plastici e aggressivi, di sculture divertenti e mostruose, di gioia e materia abbiamo scoperto la lotta tra istinto e metodo; un mondo che nasce da incidenti voluti e in cui l’arte è intesa come un processo di scoperta, non definitivo - per questo fecondo: “il quadro deve fecondare l’immaginazione”
Nelle piccole tele dal movimento immobile, nei segni evocativi, calligrafici o germinanti di vita, immersi in ampi orizzonti dal perfetto equilibrio musicale abbiamo invece trovato tutto il senso del viaggio di un poeta visivo di rara raffinatezza: semplicemente, Miró.
“Per me era la libertà più grande. In un certo senso, la perfezione assoluta. Era così autenticamente pittore che gli bastava lasciar cadere tra macchie di colore su una tela perché questa esistesse e fosse un quadro” (Alberto Giacometti)


Introduzione alla mostra

Biografia

Tra i più poetici ed energici artisti del Novecento, Joan Miró (Barcellona, 1893- Palma di Maiorca, 1983) deve la sua notorietà alla creazione di un inconfondibile universo segnico dall’accentuato cromatismo, di grande potenza evocativa.

In contatto con Francis Picabia fin dal 1917, frequenta l’ambiente Dada di Parigi dal 1919. Presto si trasferisce nella capitale francese, dove conosce Picasso, Masson, Breton e inizia a partecipare alle manifestazioni surrealiste. La sua produzione rimane ancorata alle suggestioni della campagna catalana, dell’arte rupestre e medievale della Spagna orientale e di un Mediterraneo inteso come forma mentis; in un processo di “assassinio della pittura” essa tuttavia si semplifica, valorizzando procedimenti creativi incidentali e caricandosi di valenze simboliche universali.

Joan si sposa nel 1930 con Pilar Juncosa, che appartiene a un’antica famiglia di Palma di Maiorca; nel frattempo, si accentuano i contrasti con la linea teorica imposta da André Breton al movimento surrealista. Con lo scoppio della guerra inizia la serie delle Costellazioni. All’invasione della Francia da parte dei nazisti rientra in Spagna e si trasferisce prima a Palma di Maiorca, poi nella sua casa natale (1942) dove assiste alla morte della madre. Dopo un periodo parigino nel dopoguerra, si trasferisce definitivamente a Palma di Maiorca nel 1956 nell’enorme atelier che aveva sempre sognato e che gli permette di lavorare in contemporanea su più opere: così nascono, ad esempio, il trittico Blu (1961) e le serie Donna e uccello. Riconosciuto e premiato ovunque, non smette di sperimentare forme suggerite da quell’“arte anonima” propria delle tradizioni popolari. Muore la sera di Natale del suo novantunesimo anno di vita.