Giorgio de Chirico. Ebdomero


A Parigi, dove srotola le imprese dei suoi straniati Gladiatori, Giorgio De Chirico pubblica, nel 1929, Ebdòmero: “Gladiatori! Questa parola contiene un enigma!” esclama il protagonista quasi al principio del libro, dove assiste all’esercitazione poco convinta di due di essi “in una sala vuota di mobili e ornata secondo la moda del 1880”.
Ebdòmero, come la pittura di De Chirico, è un romanzo senza inizio e senza fine: fuori dal tempo, e per questo adatto a raccoglierne moltitudini. È un teatro, e per questo un enigma: “più di una volta Ebdomèro, quando meditava su tanti enigmi indecifrati, si era posto questa domanda: perché il teatro ha sempre qualcosa di vergognoso?”. Nel romanzo convivono il futuro e il passato di De Chirico, in una sfida così visionaria all’ordine costituito che strapperà gli applausi entusiasti di surrealisti come Georges Bataille, o Louis Aragon - e questo nonostante la guerra ormai aperta che a De Chirico aveva mosso il padre padrone del Surrealismo, André Breton.
Ebdòmero racconta agli amici “storie perfettamente logiche in apparenza, e altamente metafisiche in fondo, di cui aveva il segreto e il monopolio”. Racconta del padre, di piazze, di treni, di fughe: “spalanca finestre sullo spettacolo della vita”. Ciò che lo muove è la ricerca del colore dell’ispirazione originaria, che è cosa diversa dall’originalità. “Ciò che ci vuole è scoprire - dice - perché scoprendo si riconcilia la vita con l’Eternità”.